I Quintetti per pianoforte e fiati di Mozart e Beethoven
Nell’ambito della musica da camera di Mozart, il Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle maggiore K. 452 occupa un posto abbastanza particolare.
Innanzitutto venne composto nel 1784, anno compreso in uno dei periodi di maggiore creatività del genio di Salisburgo, coincidente anche con l’apice della sua notorietà viennese.
Al proposito, il quintetto fece il suo esordio in una delle cosiddette “Accademie”, concerti allestiti da Mozart per autofinanziarsi, dove il musicista ricopriva contemporaneamente vari ruoli, dal solista all’organizzatore.
Altra caratteristica del pezzo è rappresentata da un organico inedito, utilizzato solo per questa occasione, dove il pianoforte si affianca ad un quartetto formato da oboe, clarinetto, corno e fagotto, con tutti gli strumenti che godono della stessa importanza.
Il risultato complessivo si traduce in un lavoro originalissimo, che riassume vari generi, come il concerto per pianoforte ed orchestra, la sinfonia concertante e i divertimenti per fiati.
Il pezzo conobbe numerosi tentativi di “imitazione” da parte di altri compositori, con esiti di scarso valore, fino a che non arrivò Beethoven che, nel 1796, volle cimentarsi con il medesimo organico, scrivendo il Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle maggiore, op. 16.
Va al proposito osservato come Mozart e Beethoven concepissero il quintetto quando avevano rispettivamente 28 e 26 anni, ma nel primo caso possiamo parlare di opera della maturità, mentre nel secondo si tratta di un lavoro giovanile.
L’impatto di Beethoven è comunque diverso, rispetto alla concezione mozartiana poiché, sebbene i fiati ricoprano anche in questo caso un ruolo non marginale, al pianoforte spetta la parte maggiormente rappresentativa.
Non c’è inoltre alcun dubbio che, pur in uno stadio iniziale, si possano già intravedere quelle caratteristiche sviluppate in seguito dal musicista nelle sonate e nei concerti per pianoforte ed orchestra.
I due capolavori cameristici sono stati recentemente incisi dalla casa discografica Wide Classique, che li ha affidati all’interpretazione di un quintetto formato da Pietro Barbareschi (pianoforte), Luca Stocco (oboe), Michele Naglieri (clarinetto), Giovanni D’Aprile (corno) e Massimo Data (fagotto).
Si tratta di prestigiosi interpreti italiani, ognuno dei quali ha alle spalle una grande esperienza.
Il risultato complessivo si traduce in un’esecuzione dove traspare un’ ottima intesa e una elevata qualità dei singoli, che corrisponde, nel caso dei fiati, ad una esemplare intonazione e nitidezza del suono.
Inoltre, fin dalle prime note, si percepisce come i cinque musicisti trasmettano il piacere di fare musica insieme, aderendo in pieno allo spirito per il quale, sia Mozart che Beethoven, crearono queste due pagine di straordinaria fattura.
Innanzitutto venne composto nel 1784, anno compreso in uno dei periodi di maggiore creatività del genio di Salisburgo, coincidente anche con l’apice della sua notorietà viennese.
Al proposito, il quintetto fece il suo esordio in una delle cosiddette “Accademie”, concerti allestiti da Mozart per autofinanziarsi, dove il musicista ricopriva contemporaneamente vari ruoli, dal solista all’organizzatore.
Altra caratteristica del pezzo è rappresentata da un organico inedito, utilizzato solo per questa occasione, dove il pianoforte si affianca ad un quartetto formato da oboe, clarinetto, corno e fagotto, con tutti gli strumenti che godono della stessa importanza.
Il risultato complessivo si traduce in un lavoro originalissimo, che riassume vari generi, come il concerto per pianoforte ed orchestra, la sinfonia concertante e i divertimenti per fiati.
Il pezzo conobbe numerosi tentativi di “imitazione” da parte di altri compositori, con esiti di scarso valore, fino a che non arrivò Beethoven che, nel 1796, volle cimentarsi con il medesimo organico, scrivendo il Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle maggiore, op. 16.
Va al proposito osservato come Mozart e Beethoven concepissero il quintetto quando avevano rispettivamente 28 e 26 anni, ma nel primo caso possiamo parlare di opera della maturità, mentre nel secondo si tratta di un lavoro giovanile.
L’impatto di Beethoven è comunque diverso, rispetto alla concezione mozartiana poiché, sebbene i fiati ricoprano anche in questo caso un ruolo non marginale, al pianoforte spetta la parte maggiormente rappresentativa.
Non c’è inoltre alcun dubbio che, pur in uno stadio iniziale, si possano già intravedere quelle caratteristiche sviluppate in seguito dal musicista nelle sonate e nei concerti per pianoforte ed orchestra.
I due capolavori cameristici sono stati recentemente incisi dalla casa discografica Wide Classique, che li ha affidati all’interpretazione di un quintetto formato da Pietro Barbareschi (pianoforte), Luca Stocco (oboe), Michele Naglieri (clarinetto), Giovanni D’Aprile (corno) e Massimo Data (fagotto).
Si tratta di prestigiosi interpreti italiani, ognuno dei quali ha alle spalle una grande esperienza.
Il risultato complessivo si traduce in un’esecuzione dove traspare un’ ottima intesa e una elevata qualità dei singoli, che corrisponde, nel caso dei fiati, ad una esemplare intonazione e nitidezza del suono.
Inoltre, fin dalle prime note, si percepisce come i cinque musicisti trasmettano il piacere di fare musica insieme, aderendo in pieno allo spirito per il quale, sia Mozart che Beethoven, crearono queste due pagine di straordinaria fattura.
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